REGGIO EMILIA – “Le censure articolate dal pubblico ministero ricorrente sembrano offrire degli elementi di rinforzo al ragionamento svolto dalla Corte di Appello”. Tanto si legge nelle motivazioni con le quali la Cassazione ha assolto Claudio Foti, lo psicoterapeuta imputato nel processo sui presunti affidi illeciti nella Val d’Enza.
In pratica, la corte suprema ha ritenuto che il ricorso della procura di Bologna contro l’assoluzione decisa in secondo grado, dopo la prima condanna, non sia stato efficace. In 28 pagine, i giudici di piazza Cavour hanno smontano il ricorso, firmato anche dalla pm Valentina Salvi, attualmente impegnata nel processo che si sta celebrando con rito ordinario a carico di altre 17 persone a Reggio Emilia.
L’accusa più grave per Foti era quella di lesioni, per aver cagionato un disturbo borderline di personalità in una paziente in cura, ma secondo la sentenza d’Appello non esisteva un nesso causale tra gli interventi psicoterapeutici e il quadro clinico della giovane. Tesi condivisa dalla Cassazione, che nelle motivazioni sottolinea “la fondatezza scientifica delle tesi difensive e, all’opposto, l’assenza di qualunque legge di copertura in grado di offrire sostegno all’ipotesi accusatoria”.
Sono dimostrati i due estremi della sequenza causale, ovvero la terapia di Foti e il disturbo della giovane, ma non la loro correlazione perché, si legge ancora nel dispositivo, “il richiamo alla letteratura scientifica è rimasto del tutto evanescente, venendo soltanto evocato”. La corte suprema si spinge addirittura oltre: “Il ricorso ha spostato il fuoco dell’evento lesivo dalle psicopatologie indicate nel capo di imputazione a una situazione di marcato disagio psicologico della giovane… una condizione di sofferenza esistenziale certamente acuta, ma ben diversa dalle specifiche patologie psichiatriche indicate nell’originaria contestazione”.
Il pronunciamento definitivo della Cassazione, secondo l’avvocato Luca Bauccio, difensore di Foti, dimostra che “tutta l’accusa nella vicenda Bibbiano si fonda sulla pretesa di giudicare un metodo psicoterapeutico, ma questa prospettiva è incompatibile con il giudizio penale e ricusata dalla scienza: la corte suprema ha ricordato a tutti quali sono i limiti del ragionamento giuridico e quale è la frontiera oltre la quale un giudizio può trasformarsi in una caccia alle streghe”.
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