BIBBIANO (Reggio Emilia) – Servizi sociali prevenuti, che assumono decisioni precipitose senza i necessari riscontri, allontanando minori dalle famiglie di origine e provocando in questo modo ai bambini un trauma di cui porteranno i segni per tutta la vita. Il giudizio di Elena Francia, psicologa e psicoterapeuta, uno dei consulenti tecnici della Procura nell’inchiesta sugli affidi in Val d’Enza, è netto, almeno per i 5 affidi che le è stato chiesto di riesaminare.
Le vicende all’attenzione della Procura – lo dicevamo in un precedente servizio – non sono storie di famiglie da cartolina finite per pura sfortuna nel mirino degli assistenti sociali. Al contrario, sono storie di famiglie in frantumi e di minori in sofferenza, di famiglie segnate dalla violenza nei rapporti tra marito e moglie oppure lacerate dalla conflittualità tra i genitori. E, tuttavia, al profano alcune decisioni dei servizi sociali nei casi in questione suscitano grandi perplessità. In particolare, colpisce l’estrema rapidità – spesso poche ore – con cui venne deciso l’allontanamento dalla famiglia di origine di 4 dei 5 minori coinvolti.
Una rapidità che cozza con la verifica della fondatezza dei timori, di volta in volta, di situazione di abbandono, di violenza o di vero e proprio abuso sessuale. Lascia perplessi il fatto che, di fronte al sospetto di abusi da parte del padre su una bimba di 5 anni, la piccola sia stata allontanata non solo dal presunto pedofilo, ma anche dalla madre e divisa dal fratellino, affidato a un’altra famiglia. Nella stessa vicenda il padre, poi prosciolto nel febbraio 2017, ha dovuto attendere due anni per poter vedere i figli in un incontro protetto.
Anche la scelta delle famiglie affidatarie non è stata sempre felice: una bambina è stata affidata a tre famiglie diverse nell’arco di un anno. D’altro canto, non può essere dimenticato che gli assistenti sociali della Val d’Enza sono quasi sempre stati attivati dalle segnalazioni di altri soggetti: in un caso i carabinieri, in un altro la guardia medica, in un altro ancora le maestre d’asilo. Sullo sfondo, resta poi sempre la domanda delle domande: di fronte al sospetto che un minore sia vittima di violenza in famiglia, cosa dovrebbero fare i servizi sociali? Metterlo al sicuro in nome di un principio di precauzione o lasciarlo dov’è?
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