REGGIO EMILIA – Mary e Dino e Silene sono tra coloro che accolgono, che si prendono cura e che lasciano andare. Le famiglie affidatarie non hanno un ruolo semplice, perché occorre mettere da parte il più possibile se stessi per stare in completo ascolto del piccolo che arriva nelle propria casa, che è stato vittima di abusi, oppure che li ha visti subire.
I servizi sociali reggiani possono contare su una novantina di famiglie affidatarie; 10 di queste sono state formate per l’emergenza. Mary e Dino, 46 e 52 anni, due figli 20enni, hanno iniziato così una decina di anni fa. Poi, hanno frequentato il corso che si richiede a chi desidera entrare nella rete delle famiglie affidatarie e hanno ascoltato l’esperienza di altri coppie o single che già ne facevano parte.
La soddisfazione è quella di vedere il minore prendere fiducia, migliorare dallo stato di paura in cui spesso si trova inizialmente per poi, si spera, tornare al nucleo d’origine anche se i momenti di difficoltà non mancano. Anche le famiglie affidatarie sono finite, in un certo qual modo, nelle strumentalizzazioni seguite all’inchiesta in Val d’Enza del giugno 2019.
Silene invece ha 73 anni e negli ultimi sei ha avuto quattro bimbi in affido. Il numero di famiglie della rete è leggermente diminuito durante il periodo di pandemia e a Reggio Emilia ci sono delle situazioni di bimbi in attesa. I poli territoriali sono disponibili a dare informazioni a chi volesse entrare a far parte del gruppo.
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