REGGIO EMILIA – A più di sei anni dall’arresto, Giuseppe Pagliani si prepara ad affrontare in Cassazione l’ultima battaglia con la Direzione distrettuale antimafia.
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Il ricorso in Cassazione della Procura generale di Bologna contro la sentenza di assoluzione di Giuseppe Pagliani dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa può essere giudicato in modi diversi. L’ex esponente del Pdl e di Forza Italia, ad esempio, ha parlato di “persecuzione senza precedenti”. Comunque lo si valuti, però, quel ricorso mostra una volta di più quanto sia priva di fondamento la tesi secondo la quale Pagliani avrebbe l’unica colpa di essere incappato in un magistrato, Marco Mescolini, che lo ha inquisito per pregiudizio politico. L’atto di impugnazione dell’assoluzione è firmato non da Mescolini, ma dal procuratore generale di Bologna Ignazio De Francisci e dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Beatrice Ronchi.
Pagliani fu arrestato nel gennaio 2015 nell’ambito di un’inchiesta – l’inchiesta Aemilia – condotta da Mescolini e coordinata dal predecessore di De Francisci, Roberto Alfonso. A disporre l’arresto fu il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Bologna Alberto Ziroldi. In primo grado l’accusa nei confronti di Pagliani fu sostenuta da Mescolini e Ronchi e il legale reggiano fu assolto. Nel primo processo d’appello i pubblici ministeri furono invece Umberto Palma e Nicola Proto e alla fine del processo il collegio giudicante condannò Pagliani. Dopo che la Cassazione ordinò di rifare il processo, fu la Ronchi a sostenere l’accusa in Corte d’appello a Bologna.
Non è dunque un singolo magistrato politicizzato a chiedere la condanna di Pagliani, ma – a torto o a ragione – la Procura generale di Bologna e la Direzione distrettuale antimafia al gran completo. E’ una constatazione che conserva la sua attualità anche se la Cassazione dovesse decidere – come è certamente possibile e forse anche probabile – che non c’è motivo per riformare la sentenza di assoluzione.
Un giudizio severo sulla condotta di Pagliani, d’altra parte, non è limitato alla magistratura inquirente, ma è stato espresso a più riprese anche dalla magistratura giudicante, compresa quella che ha assolto l’ex capogruppo di Forza Italia. Come il gup Francesca Zavaglia, che nel 2016 sottolineò nella sentenza “la facilità e l’entusiasmo con cui Pagliani si era messo subito al servizio del boss” Nicolino Sarcone. Oppure, pochi mesi fa, la Prima sezione della Corte d’appello di Bologna, secondo la quale Pagliani all’inizio del 2012 aveva “consapevolmente scelto di far coincidere la propria battaglia politica con quella” della cosca.
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