REGGIO EMILIA – Un confronto vero, quello andato in scena ieri sera durante la puntata de Il Graffio, dedicata alle prossime elezioni regionali. L’avvocato Giuseppe Pagliani, forte dell’assoluzione definitiva dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ha replicato con forza a chi, come Cosimo Pederzoli di Avs, ha definito la sua candidatura “un dato preoccupante che deve accendere, nella società civile e nella politica, una profonda riflessione”.
Pagliani, dopo aver regalato il suo libro “Ventitre giorni” ai conduttori Michele Angella e Davide Bianchini, ha ribadito che ritiene la sua vicenda “un caso di malagiustizia” e l’arresto, la notte del gennaio 2015 in cui prese il via l’inchiesta Aemilia, “un atto illegale”. Dopo 23 giorni, poi, il tribunale del Riesame lo rimise in libertà. In particolare, l’avvocato di Forza Italia ha ricordato che all’epoca l’intera città non aveva gli anticorpi giusti: “Un atto giudiziario che colpisce un innocente è un fatto di grave illegalità, anche in una provincia che non aveva gli anticorpi per comprendere fino a che punto la criminalità fosse irradiata”.
La tesi dell’inconsapevolezza, però, non trova riscontro in entrambe le sentenze di assoluzione dello stesso Pagliani. In quella di primo grado, nel 2016, si legge che “l’abbondante compendio probatorio offre, quale ricostruzione ritenuta dal giudicante più ragionevole, quella che vede Giuseppe Pagliani prestare una iniziale piena e consapevole adesione al progetto propostogli da Nicolino Sarcone salvo poi defilarsi, forse anche impaurirsi”. Nella sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Bologna del 2021, invece, i giudici scrivono che Pagliani, quando incontrò i Sarcone nella sede della loro ditta, “era sicuramente consapevole della caratura criminale di costoro”.
Alla fine del vivace confronto, restano l’assoluzione definitiva di Pagliani, che consente all’avvocato di essere candidato, per un reato che non c’è stato, dal momento che l’accordo con il capocosca più famoso di Reggio Emilia non è stato consumato e i dubbi di chi, come don Ciotti sottolinea l’inopportunità della candidatura di politici che hanno avuto rapporti con la criminalità organizzata.
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