REGGIO EMILIA – Ogni anno il gestore del servizio idrico della nostra provincia preleva dall’ambiente 45 milioni di metri cubi d’acqua, ma il 23 per cento non arriva fino ai rubinetti a causa delle perdite di rete. Una percentuale assai più bassa del 35 per cento della media nazionale, ma che il presidente di Arca Alberto Montanari punta a ridurre sensibilmente: “Il nostro obiettivo è arrivare al di sotto del 20 per cento entro il 2030. Questo ci porterebbe in una fascia di eccellenza a livello nazionale”.
Professore ordinario presso il Dipartimento di ingegneria civile, chimica, ambientale e dei materiali dell’Università degli Studi di Bologna, Montanari guida Arca, la società controllata dai Comuni reggiani che dal 1° gennaio 2024 è titolare della concessione del servizio idrico integrato. Significa gestire 8.500 chilometri di tubi dal crinale al Po fra reti idriche e sistema fognario. Il piano finanziario 2024-2029 prevede 150 milioni di investimenti: una media di 25 milioni all’anno.
Per effetto dell’esito del referendum del 2011, la legge oggi vieta di fare extraprofitti sull’acqua: le tariffe sono perciò decise non dalle aziende di gestione, ma dalle autorità di regolazione sulla base dei piani locali degli investimenti. A Reggio e provincia la tariffa media del servizio idrico integrato è di circa 2,15 euro al metro cubo. E’ cara o a buon mercato?
“Il nostro costo è inferiore alla media nazionale, perchè abbiamo una situazione territoriale più facile rispetto ad altri e abbiamo meno perdite di rete”.
Proprietà pubblica delle reti e concessione affidata a una società mista controllata dai Comuni in cui il partner privato di minoranza, il gruppo Iren, si occupa della gestione operativa: il modello Reggio è pressochè unico in Italia. Funziona?
“Questa interazione tra pubblico e privato è vincente, non a caso è un modello che è osservato con attenzione anche da numerose altre realtà, perchè fonde i benefici tipici del socio privato con la funzione di intermediario del socio pubblico”.
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