REGGIO EMILIA – Dalla maxi operazione antimafia Aemilia sono poi scaturite varie indagini che hanno detto come il potente radicamento ‘ndranghetista in Emilia – e nel Reggiano in particolare – non sia per nulla facile da estirpare. Quindi c’è da chiedersi quale sia il presente in chiave mafiosa.
L’arresto per l’accusa di tentata estorsione di Antonio Gualtieri, braccio destro del boss Nicolino Grande Aracri, rivela come la cosca cutrese-emiliana sia tutt’altro che in disarmo nonché portatrice di collegamenti fuori regione. Fra l’altro, diversi affiliati condannati e mai dissociatisi dalla cosca stanno uscendo di cella per il fine-pena e difficilmente lasceranno le nostre zone in quanto le loro famiglie sono rimaste qui.
Queste scarcerazioni che conseguenze avranno, se in un Paese si è arrivati persino a festeggiarle con tanto di fuochi d’artificio nella notte? Sono rimasti in loco i fedelissimi? C’è stato un ricambio generazionale? Le donne hanno ora un ruolo più incisivo? Circolano armi? Altri arresti per grossi traffici di stupefacenti ci dicono che Reggio Emilia è una piazza-chiave, contrassegnata da un intreccio pericolosissimo fra ‘ndrangheta, malavita albanese e gli inediti interessi della criminalità romana. Per non parlare delle tantissime imprese, per lo più con titolari calabresi, ritenute vicine alla criminalità organizzata e bloccate dalla prefettura tramite le interdittive antimafia. Che fine hanno fatto? Non potendo concorrere agli appalti pubblici sono fallite?
Inoltre, le false fatturazioni spiccano come “reato-spia”: fittizi crediti d’imposta da milioni di euro che alimentano gli “appetiti” non solo delle imprese locali, ma anche di aziende di più ampia risonanza. Un sistema anche per coprire estorsioni o protezioni garantite, monetizzandole con consulenze fasulle fatturate.
Altri sospetti riguardano poi lo smaltimento dei rifiuti, le scommesse, la ristorazione. Ma non è finita qui, perché in questo quadro di una ‘ndrangheta meno sanguinaria, ma non per questo meno violenta perché auto e mezzi continuano ad andare a fuoco, va anche collocato l’uso delinquenziale dell’informatica. La tecnologia, fra piattaforme clandestine e criptovalute, sta cambiando il volto mafioso. Insomma, metodi tradizionali e dominio digitale calpestano la legalità. Combattere la mafia resta una priorità.
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